
© Roberto Alborghetti
Guest Writer: FRANCESCO CORSI, ArtInGenio
Roberto Alborghetti osserva e contempla quegli oggetti che vengono colti in uno stato di abbandono come estrema conseguenza del loro essere oggetti significanti. Oggetti che hanno esaurito il loro ciclo di vita. Rottami in cui l’artista coglie l’estremo significare delle cose. Perché le cose si amano anche quando hanno cessato la loro mera funzione di utilizzabili. Vi è una tenerezza per le cose del mondo che solo può sussistere in chi vuole leggere il senso dell’essere. Una vita che è consapevolezza delle macerie del tempo, che ha assunto in se ogni carattere edipico della temporalità, dove la luce irrompe nella finitudine di un mondo già vissuto.
Alborghetti interpreta bene il “muro del tempo”, per riferirsi all’opera Jungeriana, lo spazio occupato dalle cose che decadono, ma in questa decadenza si innesta una sorta di mistica.
Residui accumulati di lavori cessati, manifesti laceri che hanno esaurito la loro funzione, come un essere umano giunto logoro al termine dei suoi giorni. E questi relitti traggono vita da un nuovo sguardo, da una luce che li sottrae al loro inesorabile decadere.
In questa sottrazione alla decadenza, ogni elemento vive un provvidenziale riscatto dal caos, dall’inutile, e aiuta a meglio comprendere che la Vita medesima è inutile, come l’Arte, perché la Vita è eterna Presenza.
Francesco Corsi
L’ha ripubblicato su MI-LI-BRO.